esamebozza

CIRCOLO FRIULANO CACCIATORI

ANALISI DELLA BOZZA DI LEGGE REGIONALE RECANTE NUOVE DISPOSIZIONI

IN MATERIA DI CACCIA E GESTIONE DELLA FAUNA

VALUTAZIONI DI CARATTERE GENERALE

Dobbiamo innanzitutto rilevare che, dopo aver risposto al questionario AIR inviatoci dalla Regione tramite Internet, si riteneva che proprio dall’analisi delle risposte ottenute da parte di tutti i soggetti a cui tale questionario era stato inviato, potesse essere redatta la norma di modifica dell’attuale legge sulla caccia e, comunque, che gli esiti di tale questionario potessero essere resi noti.

Si esprime dunque la più viva meraviglia nel vedere che, invece, si è proceduto dapprima nominando una commissione tecnica della maggioranza dalle riunioni, a quanto pare, presto interrotte e quindi redigendo una bozza che non si sa se tenga conto degli esiti dei questionari AIR di cui sopra e che è frutto del lavoro di non si sa chi.

Evidenziato tutto ciò, che assumerebbe solamente valenze politiche non di nostra pertinenza qualora non avesse già comportato l’esborso di denaro pubblico per la predisposizione dei questionari e per la preparazione dei funzionari inviati addirittura a Roma al fine di apprendere i criteri di predisposizione dell’AIR, a nostro giudizio la bozza, nella formulazione che ci è stata recapitata, non possiede contenuti tali da poter essere definita positiva.

Rappresenta, anzi, un forte regresso rispetto alla L.R. 30 e non può in alcun modo confrontarsi, neppure alla lontana, con ciò che si fa, molto più positivamente e seriamente in regioni – peraltro non autonome – come l’Emilia-Romagna e la Toscana e, proprio recentemente, anche l’Abruzzo.

Per non dire delle vicine e confinanti Carinzia e Slovenia.

Il contenuto non soddisfa le aspettative della parte più moderna e positiva del mondo venatorio, degli ambientalisti più preparati e degli agricoltori più sensibili e non raggiunge gli scopi che la bozza stessa si prefigge, stando almeno ai contenuti della premessa che apre la relazione di accompagnamento.

I punti critici di questa bozza sono molteplici e richiederebbero, per essere evidenziati ed illustrati tutti, una relazione troppo ponderosa.

Si rimarrà dunque, per ragioni di economia di spazio, solamente su quelli più macroscopici, sia per quel che concerne la conformità con il dettato costituzionale e del Codice Civile, sia per la confusione e l’assoluta mancanza di funzionalità che attribuirebbero all’intero impianto normativo e, di conseguenza, al comparto venatorio, qualora fossero disgraziatamente approvati.

STRUTTURA TECNICO SCIENTIFICA

La struttura tecnico scientifica, così come prevista dalla bozza, non attribuisce alla medesima la necessaria terzietà.

Non sgrava la Regione dell’onere, scomodissimo anche politicamente, di prendere posizione in ordine agli elementi critici relativi ai piani di abbattimento e, in generale, all’uso corretto del patrimonio fauna.

Si moltiplicano inutilmente i "presìdi tecnico scientifici" prevedendo, nell’ordine:

1) i tecnici delle associazioni ambientaliste, venatorie ed agricole nel Comitato Faunistico Regionale;

2) i tecnici liberi professionisti per la redazione del Piano Faunistico Regionale;

3) i tecnici arruolati dai Distretti per la redazione del Piano Venatorio Distrettuale;

4) i tecnici della struttura tecnico scientifica regionale;

5) i tecnici degli Osservatori faunistici territoriali istituiti presso gli Ispettorali ripartimentali delle Foreste).

Tutto ciò renderà il Friuli Venezia Giulia una sorta di ufficio di collocamento per tecnici faunistici disoccupati, il che avrà pure una finalità sociale, ma per la gestione della fauna selvatica di una piccola regione come la nostra sembra francamente troppo.

RISERVE DI CACCIA E DISTRETTI VENATORI

Si persiste nell’errore giuridico e soprattutto pratico, ma anche inutilmente populistico, contenuto già nella L.R. 30 e che tanti danni ha fino ad oggi causato, con la confusione che ne è derivata, di voler considerare le riserve di caccia ed i distretti come associazioni private non riconosciute.

Che associazione privata è quella che nasce non per volontà dei soci, bensì in virtù dell’imposizione di una legge?

Che associazione privata è quella i cui soci non sono scelti dall’associazione medesima, ma imposti dalla Regione attraverso criteri dalla Regione medesima prestabiliti?

Che associazione privata è quella che ha un numero di soci massimo imposto dalla Regione?

Che associazione privata è quella il cui Statuto è dettato dalla Regione?

Che associazione privata è quella il cui legale rappresentante è un incaricato di pubblico servizio?

Che associazione privata è quella il cui scopo sociale e la cui attività sono per il 100 % di natura pubblicistica?

Altrettanto dicasi per i distretti venatori che, comunque, mantengono il difetto originario, già presente nella Legge 30, di essere autoreferenziali.

Nel senso che sono composti solo dai direttori delle riserve in essi comprese, i quali ratificano e controllano i loro stessi atti, con i problemi anche seri che si sono fino ad oggi verificati proprio per questa insana coesistenza tra controllore e controllato.

ASSOCIAZIONE DEI CACCIATORI

In questa disposizione si tocca veramente il fondo.

La Regione dispone per legge che tutti i cacciatori si associno in un sodalizio privato senza scopo di lucro e non riconosciuto costituito appunto per volontà della Regione stessa e non già per volontà dei soci.

Prevede addirittura che la Regione si faccia carico delle incombenze burocratiche per la costituzione del sodalizio e disponga il contenuto dello Statuto.

Prevede inoltre che l’iscrizione a detto sodalizio sia obbligatoria e che tale iscrizione sia fra le condizioni per poter esercitare la caccia.

Dovrebbe essere inutile (ma a quanto pare non lo è...) ribadire che si tratta di una disposizione del tutto contraria al dettato costituzionale che stabilisce la libertà associativa.

E’ inoltre contraria al codice civile che prevede la costituzione delle associazioni private non riconosciute solamente in virtù della volontà del soci, così come prevede che i rapporti interni (statuto) siano regolati esclusivamente dagli accordi tra i soci.

La prevista clausola compromissoria, erroneamente mutuata dal gioco del calcio, non servirà in alcun modo ad evitare contenziosi davanti al magistrato perché non è possibile, per dettato costituzionale, sottrarre qualcuno al giudice naturale precostituito per legge.
Tant’è vero che anche nel calcio vi è chi ricorre regolarmente al TAR.

Il difetto di fondo di questa impostazione è che pretende di mutuare dal campionato di calcio qualcosa che per la caccia non è assolutamente mutuabile.

Innanzitutto il campionato di calcio deriva dall’accordo tra società private di giocare secondo certe regole.

Non investe alcunché di pubblico e non prevede l’utilizzo e lo sfruttamento di un patrimonio pubblico.

Inoltre chi desidera giocare al calcio fuori dal campionato, lo può tranquillamente fare anche improvvisando squadre sulla spiaggia o addirittura, volendo, creandosi campionati paralleli.

La caccia, oltre a non essere uno sport, tant’è vero che la Federcaccia è stata estromessa dal CONI, consiste nell’utilizzo a termini di legge (Legge 157) e a determinate condizioni dalla medesima legge fissate, alle quali non possono aggiungersi altre, di un patrimonio pubblico, previo pagamento di una concessione sia governativa che regionale.

L’iscrizione obbligatoria al sodalizio impedirebbe comunque l’esercizio della caccia al di fuori del "campionato venatorio", chiamiamolo così, organizzato dall’Associazione imposta per legge regionale.

Evidente che tutto ciò non è possibile.

Basti pensare che la Legge 13/1969, redatta peraltro in un momento in cui la fauna era "res nullius", aveva fatto una scelta giuridicamente corretta anche se "schierata" quanto a politica venatoria.

Aveva, cioè, attribuito la gestione della caccia ad un sodalizio preesistente e formato per volontà dei soci, vale a dire alla Federcaccia che, all’epoca, era praticamente l’unica associazione venatoria esistente.

Quest’ultima, quando agiva per gestire non già sè stessa, bensì le riserve, si "spogliava", per così dire, della veste privata ed "indossava" quella dell’ente pubblico denominato "Organo Gestore delle Riserve".

Un’attribuzione peraltro provvisoria, nel senso che prevedeva in futuro di cambiare l’entità dell’Organo Gestore, quando si fossero affacciati altri soggetti.

Ma la legge di allora non imponeva, per cacciare, che i cacciatori fossero iscritti alla Federcaccia, cosa prevista dal Testo Unico del 1931, cassata per sentenza della Corte Costituzionale all’inizio degli anni ‘60.

Benché oggi tale impostazione possa essere stata superata dal fatto che la fauna è divenuta patrimonio pubblico e che altri soggetti si sono affacciati nel panorama gestionale, sia in campo venatorio che ambientalista, è evidente che era corretta sotto il profilo della tecnica giuridica, contrariamente a quella ipotizzata dalla bozza di cui si chiede valutazione.

Ma dobbiamo anche tener conto del fatto che tale impostazione derivava dagli avvocati Gioffré e Comelli, la cui professionalità giuridica aveva basi tecniche estremamente solide.

Non commentiamo neppure l’idea di un’elezione a suffragio universale degli organismi di questa proposta associazione, tanto la cosa – che sfiora l’assurdo, per l’impegno, i costi ed i risultati che ne deriverebbero - dimostra in modo inequivocabile come gli estensori della proposta medesima non abbiano assolutamente idea di cosa sia il mondo venatorio.

E neppure quello cugino dei pescatori, se si pensa che vi sono certi rappresentanti dei collegi di pesca (il mondo dei pescasportivi conta la bellezza di 30 mila appassionati, vale a dire il triplo di quello dei cacciatori), che vengono eletti con il voto di una ventina o poco più di elettori.

Amici e parenti, insomma, e nemmeno tutti

BUROCRAZIA E COSTI

Su questo aspetto è necessario essere estremamente chiari: se la Legge 30 era ed è - a nostro avviso ingiustamente - accusata di aver eccessivamente burocratizzato il comparto venatorio aggravandone anche i costi, la bozza presentata anziché togliere di mezzo le eventuali pesantezze burocratiche, le aggrava facendo crescere di numero i soggetti che sulla caccia gravano e gli adempimenti che devono essere adottati.

Il tutto, ovviamente, con costi rilevanti che saranno posti in capo al già oberato mondo della caccia, perché l’associazione obbligatoria, dovrà essere mantenuta e dovranno essere mantenuti gli impiegati che essa necessariamente assumerà.

Il tutto per svolgere un compito estremamente marginale, tra cui l’assegnazione ed il trasferimento dei cacciatori che avviene sulla base di semplici automatismi e che un semplice impiegato regionale, dotato di computer convenientemente programmato, è in grado di fare in pochi giorni, se non addirittura in poche ore.

Che poi questo attualmente non avvenga e che si sia ancora oggi in attesa di queste assegnazioni e di questi trasferimenti per il 2006, è tutta un’altra questione che investe l’organizzazione del lavoro all’interno degli uffici regionali e che non è nostra competenza analizzare.

Peraltro è incomprensibile l’assunto che viene attribuito al Presidente della Giunta regionale, che avrebbe ricordato in più circostanze come oggi le spese di gestione del mondo venatorio ricadano esclusivamente sull’intera collettività e come, invece, sarebbe opportuno che i cacciatori se le pagassero.

Non sappiamo di quali informazioni sia in possesso il Presidente e soprattutto chi gliele fornisca, ma in realtà egli deve essersi dimenticato che il mondo venatorio, oltre a pagarsi da solo la gestione completa delle riserve, i (dannosi) ripopolamenti, l’assicurazione, la tassa di concessione governativa, paga anche la tassa di concessione regionale che è di 84 euro all’anno per ciascun cacciatore.

84 euro che, moltiplicati per i circa 12 mila praticanti fanno la bellezza di 1.008.000 euro all’anno – circa 2 miliardi delle vecchie lire - che finiscono nelle casse regionali.

Come si vede, l’estensore delle note accompagnatorie alla bozza deve aver avuto informazioni distorte sull’argomento.

PROPOSTE

Le proposte del Circolo Friulano cacciatori, di fronte a tutto ciò sono estremamente semplici e sostanzialmente suggeriscono l’opportunità di gettare nel cestino tutta la bozza prodotta e di lasciare in vigore la Legge 30, che necessita solamente di qualche correttivo.

Ripristino dell’IFR

In particolare si propone di ripristinare l’Istituto Faunistico Regionale con la necessaria ed originaria terzietà e con gli originari compiti, peraltro previsti ancora oggi da una legge – la 30 appunto – che non è stata abrogata.

Tanto più che la riduzione dell’IFR a semplice Ufficio di Studi Faunistici, non pare dotata della necessaria legittimità ed anzi a dire il vero a nostro avviso contrasta con i principi relativi alla gerarchia delle fonti giuridiche, visto che un atto amministrativo non può certo eliminare un istituto previsto da una legge.

A meno che, naturalmente, la stessa legge non preveda che ciò possa accadere.

Nel caso dell’IFR questo non è avvenuto, trattandosi del prodotto di una legge speciale come la L.R. 30/1999 e l’Istituto medesimo non è compreso tra quelli che possono essere rivisti, corretti o aboliti con delibera di giunta ai sensi della L.R. 7/1988 e della successiva L.R. 10/2001, con la relativa e successiva delibera n°1282 del 2001 di ricognizione delle strutture regionali.

Pertanto, con la delibera 3701 del 24/11/2003 è stato cancellato un IFR che non poteva essere abolito nè modificato se non per legge.

L’IFR dovrebbe essere non già facoltativamente, bensì di rigore collegato con apposita convenzione all’INFS per la necessaria copertura tecnico scientifica prevista dalla Legge 157 alle decisioni regionali in materia di fauna.

Ridefinizione della natura giuridica delle Riserve di caccia e dei Distrett

Riserve di caccia e distretti venatori devono essere di natura esclusivamente pubblica.

Si avranno in tal modo:

le Riserve di caccia pubbliche con scopi di interesse pubblico e senza scopo di lucro;

le Aziende Faunistico Venatorie, queste sì private ma con scopo di interesse pubblico e senza scopo di lucro;

le Aziende Agri Turistico Venatorie pure private e con scopo di lucro per l’integrazione del reddito agricolo.

A queste si aggiungono le zone cinofile, con gli scopi attualmente già previsti.

Eliminazione contenziosi venatori

L’esperienza ha ormai dimostrato che la stragrande maggioranza dei contenziosi in materia di caccia tra cacciatori e direttori di riserva e tra direttori di riserva e distretti, deriva dalla pretesa dei direttori medesimi o dei distretti di imporre a categorie di cacciatori o a riserve intere, calendari venatori ridotti rispetto a quelli previsti dalle LL.RR. 14/1987 e 24/1992.

Un atteggiamento del tutto ingiustificato sotto il profilo tecnico e della tutela della fauna, che da ciò non riceve il benché minimo beneficio, visto che si caccia per piani di abbattimento predeterminati e lo sforzo di caccia si esercita su quei numeri e non su numeri ignoti dovuti solo ai giorni di apertura della caccia vera e propria.

Una pratica che nasconde invece ben altri e meno confessabili interessi, legati a private gelosie ed invidie, al tentativo di penalizzare categorie di cacciatori o singoli soci per indurli ad andarsene e così via.

Ergo, una disposizione che esplicitamente impedisca un tanto (la nostra convinzione è che, in realtà, ciò sia già proibito, visto che sicuramente un direttore non può comprimere con un proprio atto un calendario venatorio fissato dalla legge) e che attribuisse solamente all’Assessore competente tali riduzioni, su proposta della riserva interessata, per specifici e motivati gravi problemi legati a situazioni meteorologiche o epizoozie e dietro parere conforme dell’IFR, servirebbe ad eliminare almeno il 90 per cento dei contenziosi e delle tensioni.

Eliminazione del gravame cartaceo e verificativo della Regione

Come si ripete, le questioni legate all’organizzazione del lavoro negli uffici regionali non è cosa di nostra pertinenza, tuttavia a titolo collaborativo si suggerisce che, con un atto di indirizzo, si imponga alle Riserve di caccia di redigere un regolamento poliennale, valido per tutti i 5 anni di mandato del Direttore e del Consiglio direttivo.

Al tempo stesso si suggerisca ai Distretti di adottare un regolamento unico per tutte le riserve in essi contenute, anche se in questo caso senza obbligatorietà perché le riserve devono pur sempre conservare una loro autonomia.

Così facendo la Regione dovrebbe approvare i regolamenti solamente una volta ogni 5 anni e, se venisse anche imposto ai direttori di sottoscrivere un atto nel quale si attesta che il nuovo regolamento quinquennale è uguale a quello precedente, il lavoro diminuirebbe ancora.

Non parliamo poi se i distretti riuscissero ad adottare un regolamento comune per tutte le loro riserve: in questo caso la Regione dovrebbe verificare solamente 15 regolamenti ogni 5 anni, e verificare, eventualmente, in quel lasso di tempo, solamente i regolamenti sui quali dovesse intervenire un ricorso.

Un carico di lavoro che ci sembra agevolmente sopportabile persino dagli oberati ed esausti uffici regionali preposti.

Attribuzioni alle Province

Si propone la ricostituzione dei Comitati Provinciali Caccia che fungano solamente da commissione disciplinare di primo grado per le infrazioni dei cacciatori.

La Regione istituirà poi una sola commissione di secondo grado con facoltà di "reformatio in peius", onde scoraggiare i ricorsi inutili e temerari.

Si propone altresì che il Comitato caccia, formato da tecnici e giuristi nominati dalle associazioni ambientaliste, da quelle venatorie e da quelle agricole, funga anche da arbitrato inappellabile con procedura immediata per le controversie che sorgono tra i soci delle riserve ed i loro direttori e tra i direttori ed i distretti.

Alle Province dovrà poi essere attribuito il compito di indire gli esami venatori, in almeno due sessioni annuali e ciò sia per gli esami di accesso alla caccia, sia per quelli relativi alla caccia di selezione o ad altre pratiche, come il controllo dei nocivi o l’abilitazione per i dirigenti venatori, abolita sciaguratamente con la L.R. 10/2003 e che andrebbe assolutamente ripristinata essendo, quella dei cacciatori, l’unica categoria che ha chiesto ed ottenuto di dequalificarsi.

Inutile peraltro istituire la scuola di caccia, sia in ambito regionale che provinciale.

Ciascuno dei candidati si presenti agli esami con il proprio bagaglio culturale formatosi sia autonomamente sia, auspicabilmente, con le scuole di caccia che le associazioni venatorie già esistenti, se lo vorranno, potranno istituire sulla scorta di quella già funzionante del Circolo Friulano Cacciatori, sia quelle che potrebbero essere istituite a loro scelta anche dalle stesse province qualora le relative Giunte lo deliberino.

La Provincia di Pordenone, ad esempio, ne ha già una sua, di eccellente qualità.

Scuole che si confronteranno sul piano della concorrenza, basata sulla qualità degli insegnamenti e sul canone richiesto ai partecipanti.

La Provincia nomini soltanto le sue commissioni, indìca gli esami ed emetta le relative valutazioni, preferibilmente secondo lo standard INFS, valido su tutto il territorio nazionale, e lasci che la formazione sia a carico dei singoli cacciatori e dei loro sodalizi.

Oltretutto si risparmierebbe anche denaro pubblico.

Distretti venatori

I distretti venatori non dovranno più ratificare alcunché, visto che l’esperienza pregressa dimostra che nella loro stragrande maggioranza non sono in grado di farlo.

Non hanno, infatti, salvo i pochi felici esempi di eccellenza che non riescono comunque a risollevare la generale mediocrità del comparto, cognizioni tecniche e giuridiche in grado di consentire loro di svolgere questo compito.

Assemblee convocate senza ordine del giorno, votazioni imposte su oggetti contenuti nelle "varie ed eventuali", richieste di denaro illegittime in quanto i distretti non hanno bilanci, scelte tecniche assolutamente assurde, copertura reciproca tra i membri del Distretto sui rispettivi regolamenti sono le assurdità più stravaganti.

Ai Distretti spetterebbe dunque il solo compito di coordinare sul lato pratico e sotto la sorveglianza tecnica dell’IFR, i censimenti nei loro territori, organizzare le mostre dei trofei, uniformare per quanto possibile i regolamenti interni delle singole riserve, fungere da commissione disciplinare di grado unico per le infrazioni dei cacciatori ai regolamenti interni delle riserve, stabilire l’ubicazione dei punti di raccolta e controllo pubblico di ungulati e tetraonidi.

Operazione, quest’ultima, assolutamente necessaria e fattibile da un tecnico assegnato dalla Regione scegliendolo tra i propri, retribuito per le giornate di lavoro dal distretto medesimo.

E’ infatti ampiamente dimostrato che troppi direttori e troppi dei loro incaricati non hanno la benché minima idea di cosa stiano osservando quando si trovano davanti un capo di ungulato abbattuto.

Lo dimostrano le mostre dei trofei dove spesso di vedono situazioni addirittura comiche.

Obbligo di prestazione d’opera

Altro elemento che inseriremmo volentieri è l’obbligo di prestazione d’opera con un minimo di ore annuali, da parte dei cacciatori in favore della loro riserva.

In Slovenia ciò accade da sempre con grandi risultati di gestione e di cura del territorio, oltre che di responsabilizzazione e di educazione dei cacciatori.

Caccia in braccata

Se proprio non si intende rinunciare alla caccia agli ungulati in braccata, che sarebbe la scelta migliore per adeguarci a ciò che accade nella stragrande maggioranza dell’Europa venatoriamente civile, almeno si preveda un tesserino, consecutivo ad una scuola e ad un esame, anche per quei cacciatori e per i loro cani.

Siano inoltre limitate le braccate a due cani al giorno per ciascuna squadra e si imponga l’uso esclusivo di segugi a gamba corta.

Si escludano inoltre del tutto le cacce in braccata dai SIC e dalle ZPS, perlomeno da quelli in cui sia accertata la presenza dell’orso e degli altri grandi predatori, così come di recente ha fatto la Regione Abruzzo.

Controllo predatori opportunisti

Infine un modesto suggerimento per ovviare ai problemi – invero facilmente prevedibili – derivanti dalla recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha definito "irragionevole" la pretesa di voler considerare "conduttori a fini faunistico venatori" i cacciatori delle riserve, onde consentire loro di abbattere fauna problematica fuori dal periodo venatorio.

Le singole riserve organizzino, dunque, una riunione con il comune di appartenenza e con i proprietari dei terreni e stipulino, con coloro che accettano di farlo, un contratto di affitto a titolo oneroso anche poco più che simbolico, di alcuni fondi agricoli per qualche scopo particolare, come il "set aside" faunistico.

Solo così essi possono diventare "conduttori" in senso giuridicamente valido e dunque rimanere all’interno delle previsioni della Legge 157, per quel che concerne l’abbattimento fuori stagione dei cosiddetti "nocivi".

Inoltre i cacciatori che volessero dedicarsi a questa attività potrebbero essere considerati "adiutori" delle guardie venatorie, facendo loro frequentare un corso specifico con relativo esame ed attribuzione della conseguente abilitazione.

Inoltre si potrebbe esaminare la possibilità di concedere l’abbattimento delle volpi ogni giorno in cui è aperta la caccia di selezione e non solo nei tre giorni settimanali in cui è concessa la stanziale.

Così non servirebbe chiedere abbattimenti fuori stagione.

Per i cinghiali si stabilisca, con l’Istituto Faunistico Regionale e con l’avallo dell’INFS, dove essi possono essere gestiti normalmente con tutte le prudenze e le limitazioni del caso e dove, invece, non è opportuno che essi sostino, si riproducano e soprattutto mangino.

In questi ultimi territori non si pongano limiti ai piani di abbattimento nella normale stagione venatoria.

In ogni caso, basta con le sciocchezze che espongono la nostra regione e l’intera categoria dei cacciatori non solo alle cassazioni della Suprema Corte, ma addirittura al suo dileggio e alla sua esplicita derisione.

CONCLUSIONI

In conclusione, il Circolo Friulano Cacciatori, pur conscio che ci potrebbero essere altre e ben più "rivoluzionarie" proposte da realizzare per rendere la nostra caccia ambientalmente compatibile e persino produttiva di frutti di tipo economico non indifferenti per le zone marginali come la montagna, limita le sue considerazioni a quanto prodotto nel presente documento, convinto che sarebbero ampiamente sufficienti per assicurare alla caccia regionale la necessaria tranquillità e a migliorare gli effetti gestionali delle riserve.

Il CFC si rende comunque sempre disponibile a collaborare per una migliore gestione della fauna selvatica, proprietà indisponibile dello Stato.

Marco Buzziolo

Presidente del Circolo Friulano Cacciatori

 

Memoria consegnata all’Assessore Marsilio nel corso dell’incontro con le Associazioni interessate.

 

Ci è noto che taluni Presidenti di Distretto indicano ai Direttori ed ai Soci come la proposta dell'Assessore sia "indiscutibile" e "godrà di approvazione".

Ci dispiace sinceramente che questi acefali Presidenti di Distretto, nemmeno dopo due anni di pubbliche discussioni e segnalazioni ad opera di giornalisti, cacciatori, ambientalisti, si siano risvegliati dal letargo, disturbati dal lume della ragione.

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